Dalla cultura del soccorso a quella della prevenzione (principali cenni evolutivi con riferimento agli aspetti organizzativi e normativi)
Negli anni '80, in concomitanza con l'emanazione di un'importante normativa che attribuiva al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco specifiche competenze istituzionali in ordine ad obiettivi di sicurezza della vita umana, proprio alla luce dei più importanti postulati relativi all'estensione del significato della prevenzione nell'ambito più vasto della formazione dell'operatore del soccorso urgente, presso le Scuole Centrali Antincendi un gruppo di lavoro in cui era inserito anche un sociologo collaboratore esterno e lo scrivente, si occupò di analizzare il sistema della formazione allora vigente presso questa struttura centrale del Corpo Nazionale evidenziando le possibili prospettive di cambiamento necessarie per adeguare il sistema addestrativo impiegato alle nuove istanze della formazione degli operatori del soccorso.
Così, il Comandante delle Scuole Centrali Antincendi ing. Antonio Litterio recepì tali proposte enunciandole in un'importante relazione presentata da lui nei convegni tenuti al C.N.R. a Roma nei giorni 9 e 10 marzo 1983 e a Milano in occasione del Congresso Membri dell'Associazione Europea Ufficiali Vigili del Fuoco nei giorni 19-22 marzo 1983.
La relazione in argomento, che aveva per titolo: -La nuova prevenzione incendi "la formazione dei Vigili del Fuoco: esigenze ed indicazioni programmatiche", chiariva come la ratio legis del succitato D.P.R. n° 577 del 29.07.82, collegandosi alle normative nazionali ed internazionali (artt.4, 5 e 6) di prevenzione antinfortunistica, di medicina preventiva in genere, di medicina del lavoro e di protezione civile, di fatto modificava sia il "quanto" delle competenze attribuite ai Vigili del Fuoco, che il "modo" di esplicarle (art.2). Ovvero, il senso dell'argomento era più o meno il seguente: per poter coordinare le specifiche competenze dei Vigili del Fuoco in materia di prevenzione incendi con quelle attribuite ad altre istituzioni, al fine di concorrere al perseguimento di comuni obiettivi di sicurezza della collettività nazionale, è necessario uniformare anche i criteri e le modalità di intervento socio-operativo.
La relazione dell'ing. Litterio recitava:-..In pratica, con il D.P.R. 577/82, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco viene ad essere assimilato ad ogni altro "servizio sociale" di prevenzione e di soccorso, a disposizione della collettività; servizio che, a pieno titolo, inserisce il cittadino come destinatario della prestazione professionale dei Vigili del Fuoco tra i soggetti attivi del sistema nazionale della sicurezza-.
La relazione proseguiva poi specificando: -Poiché c'è il rischio completo che le norme di prevenzione e sorveglianza antincendi cadano su comportamenti usuali o tradizionali dei Vigili del Fuoco, è bene chiarire che, finora, la prevenzione è consistita unicamente in una serie di azioni tecniche, e quindi formali, centrate sull'organizzazione ambientale vista esclusivamente in senso fisico e mai in senso socio-umano.
Manca, cioè, ogni forma di intervento preventivo sulla popolazione al livello di educazione alla sicurezza, tesa ad informare e coinvolgere responsabilmente il cittadino sui problemi di come affrontare i rischi concreti e potenziali a cui è quotidianamente esposto nel proprio ambiente di vita e di lavoro-.
Questa era di fatto una coraggiosa enunciazione che prendeva atto dei limiti del sistema formativo preesistente, tracciando le linee di un nuovo indirizzo con prospettive totalmente nuove.
Quindi, visto che il D.P.R. n° 577/82 prevedeva anche attività formativa di aggiornamento del personale VV.F. (art.7) impegnato nel servizio di prevenzione incendi, se ne dedusse conseguentemente il processo di "prevenzione sociale" a cui doveva ispirarsi l'attività dell'operatore Vigile del Fuoco sia nella fase di studio critico-sperimentale che in quella propositivo-operativa.
La relazione proseguiva poi così:-..Sinora la formazione e la qualificazione professionale del Vigile del Fuoco si è basata, quasi esclusivamente, sulla trasmissione dei dati conoscitivi (nozioni teoriche) sull'addestramento all'esercizio di una serie di operazioni meccaniche sui mezzi e sui materiali in dotazione ai Vigili del Fuoco e sull'addestramento delle tecniche di intervento nelle situazioni di pericolo e di disastro in cui è chiamato ad operare, nonché sulla trasmissione delle conoscenze inerenti le procedure tecnico-legali da seguire.
Ciò ha realizzato senz'altro un operatore valido nelle situazioni standard; operatore tuttora valido in un ambiente che non cambia o che cambia molto lentamente. Una siffatta situazione operativa diventa o diventerà più improbabile nel prossimo futuro, in relazione al convulso progresso tecnologico.
In un contesto che cambia deve cambiare anche la formazione socio-professionale dell'operatore pubblico del soccorso urgente e dell'operatore alla prevenzione-.
Era necessario cioè curare la qualità del conoscere, il "come apprendere" per qualificare il "come operare". Si dava così centralità al processo di "autoformazione permanente", idoneo a qualificare il Vigile del Fuoco che sapesse orientare adeguatamente il proprio operare alle situazioni più diverse ed imprevedibili.
L'operatore Vigile del Fuoco doveva così divenire un educatore sociale, capace di comunicare, informare ed educare i cittadini ad un comportamento di autoprotezione.
La formazione alla previsione era quindi propedeutica alla prevenzione ed alla sicurezza, si doveva promuovere, cioè, la formazione alla cultura della sicurezza.
Era necessario quindi favorire nel discente il comportamento attivo in apprendimento, aumentando così l'autonomia operativa del Vigile del Fuoco; questa era la direzione da intraprendere.
E' da notare anche il fatto che notoriamente, nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, l'attività connessa al soccorso urgente ha sempre avuto un ruolo prioritario rispetto all'ambito formativo.
Probabilmente, proprio per questo motivo, nell'ambito delle attività motorie professionali, in tale struttura è stata data spesso la priorità a proposte di formazione provenienti dal settore specialistico dei sommozzatori, quali 'soggetti qualificati' in campo acquatico, rispetto ai soggetti non sommozzatori, anche in occasione di attività acquatica in superficie, ora di espressa competenza dell'Area per la Formazione Motoria Professionale della Direzione Centrale Formazione VV.F..
Più in generale, poi, nel Corpo Nazionale la logica del contrasto agli incidenti incombenti ha sempre avuto priorità rispetto alla ricerca di sistemi per prevenirli.
Questo fatto lo si evince anche dalla vistosa disparità di fondi destinati con l'ultima legge finanziaria al settore dell'Emergenza, rispetto a quello della Formazione.
E' quindi proprio in tale ottica che va evidenziata la centralità della prevenzione e dell'educazione sociale all'autoprotezione; ciò, dal punto di vista del cambiamento culturale legato ad una prospettiva di intervento più ampia di quella del soccorso urgente.
Si riporta un esempio che attiene il soccorso acquatico: fare in modo di prevenire annegamenti o intervenire per salvare è sicuramente più importante, in ambito di priorità di compiti da svolgere, rispetto al recupero di cadaveri!
Nel merito, si coglie nuovamente l'occasione per precisare che il salvamento acquatico non è il salvamento a nuoto, inteso come disciplina sportiva; è invece un'attività professionale caratterizzata dall'impiego di particolari tecniche ed equipaggiamenti per effettuare procedure di salvataggio in scenari d'intervento caratterizzati da rilevante rischio acquatico.
Si deve anche aggiungere che l'attività motoria professionale connessa a questo tipo di operatività nel soccorso non è attività sportiva, non ha cioè finalità agonistiche o competitive; il relativo addestramento mira invece unicamente a garantire sicurezza nelle azioni più comuni di soccorso in tale ambito, spesso caratterizzato da particolari caratteristiche del bacino di acqua (acque torbide, moti vorticosi e/o presenza di oggetti ingombranti e pericolosi in acqua), che impongono l'impiego di particolari tecniche e accessori per poter concludere con successo il soccorso e soprattutto in sicurezza sia per gli operatori che per i pericolanti.
Tornando alla nuova direzione del sistema formativo, si deve evidenziare che erano anche altri i punti salienti di questa nuova prospettiva:
- selezione attitudinale per verificare la propensione al ruolo di educatore sociale dei cittadini; coinvolgimento della popolazione nel processo di autoformazione alla sicurezza soprattutto negli ambienti di lavoro e scolastici, ad esempio con giornate di incontri dedicati ad insegnanti e alunni promuovendo anche esercitazioni di protezione civile individuali e collettive, per portare a conoscenza le persone dei rischi più frequenti ai quali sono sottoposte; - formazione alla comunicazione attiva anche attraverso iter formativi con l'impiego di metodi attivi (animazione socio-culturale , metodo dei casi, brainstorming, role play);
- formazione di formatori quali leaders funzionali che potessero svolgere produttivamente il ruolo di animatori socio-culturali per favorire al massimo l'apprendimento.
L'obiettivo, per la formazione del "nuovo" Vigile del Fuoco era divenuto quindi:
formare un operatore professionalmente preparato in senso tecnico e socio-umano, armonicamente inserito nella realtà viva ed operante della popolazione.
In tale ambito, il dott. Giuseppe Martino, sociologo esperto di formazione che espletava in quel periodo il ruolo di collaboratore presso le Scuole Centrali Antincendi, nel 1983 aveva postulato nello studio - ricerca [G.Martino, F.Lunetta "Quale operatore? La formazione del Vigile del Fuoco nella prospettiva di un servizio sociale per la sicurezza e la protezione del cittadino"] un parametro fondamentale da perseguire nella formazione degli operatori del soccorso urgente, da verificare attentamente anche in sede di preselezione attitudinale di aspiranti Vigili del Fuoco: l'equilibrio affettivo emotivo, fondamentale per un efficace rapporto con le persone che hanno bisogno dell'opera del soccorritore.
Queste nuove proposte nell'ambito del sistema di formazione costituivano di fatto una vera e propria "rivoluzione" nel modo di preparare gli Vigili del Fuoco al successivo ruolo di operatori del soccorso.
La nuova prospettiva di competenze, che si delineava negli anni '80 per tale profilo professionale era molto più ampia e di fatto, in seguito, gli obiettivi sopra enunciati sono stati puntualmente perseguiti dalle strutture didattiche del Corpo nazionale VV.F. preposte alla formazione del personale operativo. Gli sviluppi di tali nuove istanze furono tanti:
Innanzitutto si "affacciarono" alle Scuole Centrali Antincendi esperti nel settore della formazione quali il dott. Francesco Guadalupi con il suo staff di psicologi-pedagogisti esperti. Questi, come anche il dott. Giuseppe Martino, nell¿ambito delle direttive che diede allora l'ing. Bruno Greggi (vice comandante delle Scuole Centrali Antincendi e Capo della Ripartizione Didattica della stessa struttura formativa), predisposero "pacchetti formativi" con sussidi didattici fino ad allora mai visti nel Corpo Nazionale.
Ebbe quindi inizio una fase nuova caratterizzata dall'impiego di "tecnologie formative" che ancor oggi sono utilizzate in occasione dei vari corsi di formazione a tutti i livelli che vengono predisposti dalle varie strutture preposte alla formazione nell'attuale Direzione Centrale per la Formazione.
Riflettendo sulla sequenza dei cambiamenti del sistema formativo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, si evince come in queste istituzioni civili ma di fatto di derivazione para-militare nel loro assetto organizzativo, l'evoluzione sia dovuta solo in parte alla produzione di nuove normative.
Queste ultime, spesso sono predisposte per lo più per esigenze di armonizzazione con quelle analoghe di altri paesi europei, e prevalentemente per motivi di assoluta priorità dovuti alla necessità di validare l'esistenza stessa dell'istituzione, quando in qualche modo tale riconoscimento viene meno a causa di particolari fatti o gravi incidenti di notevole rilevanza.
Veniamo ora al caso del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (struttura deputata a garantire la sicurezza dei cittadini nel settore del soccorso urgente). Per quanto attiene il compito prioritario di garantire l'incolumità delle popolazioni, in esso, la concomitanza delle fasi di cambiamento organizzativo più rilevanti con particolari fatti accaduti che hanno provocato una consistente crisi dell'immagine del Corpo stesso porta alla conseguente constatazione che il sostanziale cambiamento di strutture così complesse che espletano una notevole varietà di competenze sia assolutamente necessario per garantire proficui risultati.
Non si può non rilevare, cioè, come determinati tragici eventi hanno avuto il potere di indurre una sostanziale trasformazione nel sistema formativo del Corpo Nazionale VV.F..
Uno di questi risale al 14 giugno 1981, quando il bambino Alfredino Rampi cadde in località Vermicino (Roma) in un pozzo artesiano e, nonostante i numerosi tentativi dei soccorritori Vigili del Fuoco, non fu possibile porre in salvo il piccolo che morì dopo una lenta agonia durata qualche giorno.
Durante questo dolorosissimo episodio, nonostante i tentativi di rassicurare il bambino da parte di un Vigile del Fuoco, i media trasmisero anche all'estero notizie sui fatti accaduti ed il triste epilogo. Fu presente all'evento anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini. A parte le considerazioni che si possono trarre da questo caso, è indubbio che il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ebbe da tale episodio un notevole danno alla propria immagine quale istituzione deputata alla protezione dei cittadini.
Ebbe inizio proprio in questo periodo lo studio attinente l'impiego nel Corpo Nazionale di tecniche di derivazione speleo-alpino fluviali (S.A.F.) in una branca nel settore addestrativo professionale dei Vigili del Fuoco che venne nei successivi anni ulteriormente sviluppata sino alla predisposizione di una normativa ministeriale istitutiva di attrezzature e percorsi formativi nel settore (Decreto del Ministero dell'Interno n° 5/96 del 16 maggio 1996 con il quale è stato approvato il -Manuale relativo alle tecniche operative di derivazione speleo - alpino fluviale-, e successivo Decreto del Dipartimento VV.F. del Ministero dell'Interno n° 12 del 19.11.2002, con cui è stata approvata la nuova versione del medesimo manuale).
La disciplina in questione con i conseguenti itinerari formativi per i relativi istruttori (qualificati in tre livelli) e tutto il personale operativo viene da allora curata da un'apposita Commissione Tecnica Nazionale.
Infatti, oggi, tale settore di addestramento (tecniche S.A.F. o di derivazione speleo-alpino fluviale) si è ulteriormente sviluppato e di fatto costituisce un pacchetto didattico ordinariamente impiegato nel percorso formativo di base dei Vigili del Fuoco permanenti.
Anche per tale prezioso e qualificatissimo settore di operatività del Corpo Nazionale VV.F. è stata presentata in appendice un¿ampia documentazione fotografica che illustra sia il relativo ambito didattico che il ventaglio di opzioni di operatività.
Nel 1980, anche grazie alla vigorosa determinazione del suddetto ing. Bruno Greggi, è stato predisposto dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco il Documento Formazione che ha sancito un nuovo e più razionale assetto organizzativo del sistema formativo di tale istituzione, ove sono state proposte anche le strutture regionali di formazione (U.R.P.E.F. o Unità Regionali Permanenti di Formazione).
La lettura di questo documento è particolarmente interessante, in quanto sintetizza le nuove istanze di formazione predisposte dal settore di studio didattico incaricato alla relativa stesura, mostrando in modo chiaro quanto queste fossero evolute rispetto ai tempi (anni '80) ed alle procedure didattiche sino ad allora impiegate. Il documento, cioè, tecnicamente si dimostrerebbe assolutamente applicabile al contesto didattico-professionale odierno, dimostrando quanto fossero vivaci i fermenti dell'epoca propugnati da quel gruppo di appassionati del settore "Formazione e Ricerca Didattica" che allora lavoravano alacremente presso la Ripartizione Didattica delle Scuole Centrali Antincendi.
Altro momento di particolare cambiamento si è avuto dall'anno 2001 in poi.
Anche qui, va notato che la produzione legislativa in materia di sicurezza, con particolare riferimento a quella nel lavoro, di cui la normativa più nota è il D.Leg.vo 626/94, nella relativa applicazione per le pubbliche Amministrazioni, inizialmente è stata di fatto prorogata nel tempo. E' doveroso, però precisare che ciò era dovuto in parte a evidenti motivi di costi nell'adeguamento delle strutture. Tale decreto, per quanto attiene la formazione fisica dei Vigili del Fuoco intesa quale vero e proprio "Dispositivo di Protezione Individuale", di fatto ha quantificato in parametri scientifici matematicamente determinabili il concetto di rischio permettendo di sviluppare una nuova concezione di formazione motoria addestrativa basata sulla doverosa verifica oggettiva del livello di sicurezza operativa raggiunta.
E' possibile, in tale ottica, delineare anche il conseguente "cut off" ovvero la soglia minima di accettazione del livello di sicurezza fisica da raggiungere per gli operatori del soccorso urgente; questo è uno degli attuali obiettivi della ricerca didattica contemporanea in tale settore.
Abbiamo già ricordato, nel merito, la sostanziale differenza tra attività motoria professionale ed attività sportiva. La prima deve sviluppare la ricerca dell'esatta definizione della quantità "minima" di capacità motorie necessaria a garantire sicurezza agli operatori del soccorso, indistintamente rispetto al sesso ed all'età degli operatori stessi. Nell'ambito sportivo, al contrario, si ricerca la massima prestazione realizzabile in dipendenza delle caratteristiche fisiologiche dovute al sesso ed all'età degli atleti.
Va rilevato che la formazione alla sicurezza, sempre in riferimento al personale operativo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ha sempre comportato ovviamente notevoli costi cui tuttora è difficile far fronte in modo integrale. Questo è uno dei problemi più consistenti in cui da tanti anni si imbattono le strutture preposte alla formazione del personale operativo del Corpo stesso.
Curiosa, nel merito, ma particolarmente utile a promuovere opportune riflessioni finalizzate alla ricerca di soluzioni, è stata la relazione che il prof. Lamberto Cignitti (direttore ginnico sportivo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco) ha presentato a Roma nell'anno 2002 in quel Convegno Internazionale sulla sicurezza, più volte menzionato, intitolata: -Norme di riferimento per l'efficienza fisica del personale operativo VV.F.-. Cignitti, in modo molto semplice e chiaro, ha portato esempi lampanti su come, nonostante i costi vivi della formazione professionale, in ultima analisi si verifichino maggiori danni all'Amministrazione trascurando il mantenimento fisico del personale operativo.
E' stato quindi deciso di fronteggiare il problema, istituendo, prioritariamente un osservatorio per il monitoraggio di tale situazione, con evidente approvazione ed impegno, in proposito, del Sottosegretario all'Interno.
Purtroppo, è da rilevare, al contempo, che i fondi destinati alla formazione del personale operativo nell'attuale Legge finanziaria (2007) sono particolarmente esigui e questo fatto non depone certo a favore delle garanzie di sicurezza dei nostri operatori.
Tornando al precedente argomento relativo alla percezione di sicurezza da parte della popolazione, si deve ricordare che un altro fatto significativo in tal senso, è sicuramente quello relativo all'attentato dell'11 settembre 2001, incidente di una gravità estrema, per quanto attiene sia le aspettative di sicurezza che quelle dell'efficacia nel soccorso urgente.
La morte di migliaia di persone a New York, durante l'attentato alle Torri Gemelle, e di quasi 350 Vigili del Fuoco, ha causato una grave "caduta" nella percezione di sicurezza da parte dei cittadini americani.
E' da notare che in Italia, nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, si sono verificati cambiamenti nel sistema formativo, di fatto proprio in concomitanza a tale evento. Con l'istituzione del Dipartimento dei Vigili del Fuoco (a seguito del D.P.R. n° 398 del 2001), il successivo nuovo assetto della Direzione Centrale per la Formazione è stato sicuramente - anche se con i limiti enunciati in altra parte del presente lavoro e nella precedente tesi cui si fa seguito un tentativo di modificare e ottimizzare il sistema formativo degli operatori del soccorso.
Certo è che il nuovo assetto organizzativo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco (D.M. del 7 aprile 2002) contempla una maggiore frammentazione delle competenze dei vari settori del Corpo stesso, con evidente intento, da parte dello stesore del progetto, di pervenire ad una maggiore specializzazione delle differenti componenti del sistema.
Nel caso della Direzione Centrale per la Formazione, l'istituzione di un Area di coordinamento dell'attività didattica, pur con qualche limite sul piano dell'autonomia nell'organizzazione del lavoro, aveva come motivazione una gestione unitaria e coordinata del sistema formativo globale antincendi.
Bisogna inoltre ricordare, sempre a suffragio di quanto sopra enunciato relativamente al nuovo sistema di formazione per il personale operativo dei Vigili del Fuoco, che sempre nell'anno 2001 è stato "varato" anche il progetto sperimentale di salvamento acquatico cui lo scrivente, quale funzionario del Servizio Ginnico Sportivo VV.F., ha preso parte da subito sia nelle vesti di progettista che in quelle di direttore del corso, relazionando successivamente in merito nel sopra citato Convegno Internazionale del 2002 (Relazione: -Un'esperienza di formazione fisico- professionale nel settore del nuoto per salvamento - F. Lunetta , F. Berti , P. Dell'Agli).
Nello stesso simposio ha anche relazionato uno dei due comandanti di Vigili del Fuoco americani che erano intervenuti nell'attentato delle Torri Gemelle, Joseph Callan. La testimonianza nella relazione tenuta da questo funzionario del Dipartimento Antincendi di New York -Lessons learned from Ground Zero: how to protect our fire fighters- è stata impressionante, soprattutto visto che lo stesso ha ammesso, con evidente sgomento, di non aver avuto possibilità di gestire diversamente le operazioni di salvataggio accadute nell'episodio gravissimo.
Alcuni passi della sua relazione sono stati molto toccanti. Se ne cita qualcuno ad esempio: -..Come avrei potuto far fronte ad una tale catastrofe..pensate..un incendio enorme causato da 24.000 galloni di carburante riversati nei piani superiori del grattacielo, i miei Vigili che salivano le scale tra il fumo senza collegamenti radio, 50 piani di scale a piedi con gli equipaggiamenti di protezione, tutte quelle persone che scendevano fuggendo terrorizzate- E ancora: -Ogni si tanto si sentivano dei tonfi piuttosto forti, come se ci fossero degli scoppi: era il rumore dei corpi di persone che si erano buttate dalle finestre e che arrivavano al suolo dai piani alti-.
Questi fatti denotano la particolare importanza della concomitanza di eventi gravissimi nel campo del soccorso alle popolazioni, in cui i soccorritori non hanno potuto operare adeguatamente, rispetto alle conseguenze imposte dalla situazione che ha causato la percezione, da parte dei cittadini, di non essere adeguatamente tutelati nella propria sicurezza.
Ciò è destabilizzante e comporta, all'interno delle strutture preposte al soccorso urgente, obbligatoriamente un'attenta analisi di tutti quei fattori che "non hanno funzionato" per poter garantire di fornire l'aspettato livello di sicurezza sociale, riadeguando, cioè, opportunamente gli standards di sicurezza alle aspettative sociali.
Dall'apprendimento per imitazione alla formazione dell'operatore consapevole
(evoluzione dell'attività psico-motoria nell'ambito della formazione motoria professionale)
Quali sono state le conseguenze di tale nuova direzione del sistema della formazione nell'ambito della formazione motoria professionale dei Vigili del Fuoco?
Lo scrivente sempre negli anni `80, oltre a collaborare più in genere con le equipe di formazione delle Scuole Centrali Antincendi, si occupava proprio di attività che definiva strategicamente "psico-motoria" nell'ambito della formazione del vigile del fuoco, e in tale ambito evidenziava in più occasioni quanto fosse determinante, per l'allievo Vigile del Fuoco, un processo di apprendimento consapevole mirato all'autonomia nell'operatività professionale connessa al soccorso urgente.
L'autonomia nelle fasi di apprendimento, la capacità di scelta, di autovalutazione, come pure la conoscenza dei propri limiti nel campo delle performances fisiche, nonché la capacità di una corretta rappresentazione del proprio corpo nello spazio costituivano, per lo scrivente, i principali obiettivi nel settore della formazione motoria di base. Ecco perché allora veniva utilizzato appunto il termine "attività psico-motoria" che diversamente, in un altro contesto, non avrebbe avuto particolare significato.
Questo per quanto riguarda l'aspetto dell'apprendimento individuale.
E' evidente che, cambiando il tipo di approccio, anche nel contesto formativo motorio professionale gli obiettivi divenivano conseguentemente differenti.
Per quanto riguarda, invece, gli importantissimi aspetti della comunicazione-interazione del Vigile del Fuoco con i componenti della propria squadra d'intervento, va ricordato che proprio allora (negli anni `80) si iniziò ad utilizzare in ambito formativo una metodologia nuova basata sull'impiego dei metodi attivi, quelli più adottati nel campo dell'animazione socio-culturale.
Così, sovente nei percorsi formativi dei Vigili del Fuoco di allora si adottavano metodi quali il "role play" o il metodo dei casi. Quest'ultimo era di centrale importanza nell'ambito formativo degli operatori del soccorso urgente, poiché spesso, nella loro poliedrica attività di intervento, questi ultimi si trovano di fronte alle più svariate tipologie di intervento, appunto in tanti "casi" differenti.
Inizialmente, uno dei metodi utilizzati maggiormente accreditati era il "brainstorming", ritenuto un utilissimo strumento per stimolare il pensiero creativo.
Nel primo caso (il "role play") veniva strategicamente ed artificialmente riprodotta la "scenografia" di un ipotetico intervento dove ciascun allievo recitava un ruolo. Ciò era utilissimo nell'ambito delle dinamiche relazionali della squadra.
Si apriva così la strada a quello che in futuro sarebbe diventato un ambito centrale nel settore della formazione (per altro evidenziato nel più volte citato Convegno internazionale del 2002), ovvero la simulazione nello scenario operativo d'intervento.
Un altro supporto didattico aspetto, quest'ultimo di particolare interesse - era attinente all'impiego delle schede di osservazione, come pure di altri strumenti didattici utilissimi, ad esempio la matrice Job Skill, per il cui impiego gli allievi osservavano un ipotetico intervento evidenziando razionalmente compiti e ruoli (competenze) degli operatori "attori".
L'impiego di tali strumenti didattici (ispirati al modello anglosassone ed alla scuola di psicologia comportamentista) ha di fatto cambiato il sistema della formazione che precedentemente era molto lontano da simili prospettive. Tuttora, nei corsi di formazione, vengono di fatto utilizzati i medesimi strumenti, anche se in versione più evoluta.
Il dott. Giuseppe Martino si occupò anche di realizzare presso la Ripartizione Didattica delle Scuole Centrali Antincendi, con l'aiuto di personale esperto nel settore della formazione, un sistema didattico di apprendimento per grandi gruppi mediante impiego di sistema televisivo a circuito chiuso, da utilizzarsi per le esigenze didattiche di tutti i corsi di formazione di base. Il sistema fu sperimentato durante i corsi di formazione per Allievi Vigili Volontari Ausiliari (quatto corsi l'anno di durata trimestrale per circa 700 unità a corso).
In tale sistema i gruppi in apprendimento erano supportati da animatori che aiutavano gli allievi partecipanti a veicolare le domande alla consolle di esperti riunita in una stanza che provvedeva ad elaborare le opportune risposte ai quesiti posti.
L'importanza delle dinamiche comportamentali individuali e di gruppo in quel periodo fu posta al centro dell'attenzione nel bagaglio formativo del Vigile del Fuoco; ma, quelle che allora, non senza critiche da parte dei più scettici, costituivano delle premesse a nuovi indirizzi (es. l'impiego di tecniche di analisi transazionale o di derivazione dalla psicologia comportamentale), vengono tuttora abitualmente adottate nei corsi di formazione presso la Scuola per la Formazione di base (ex Scuole Centrali Antincendi).
Le radici culturali di antica memoria, che poggiavano sulla saggistica degli anni '60, certo non facilitavano il raggiungimento di tali nuovi obiettivi, in quanto gli staff che lavoravano in questo settore erano spesso considerati come una sorta di "gruppo di filosofi", assimilabili a idealisti che non avevano veramente compreso le primarie esigenze addestrative basate sulla semplice ripetizione delle cose enunciate dagli istruttori, e che per questo motivo avrebbero preferito "divagare" in fantasie o sogni di scarsa utilità pratica.
Nonostante ciò, proprio in quel periodo, grazie soprattutto alla tenacia dell' "illuminato" sopra menzionato ing. Bruno Greggi (che propugnava addirittura corsi di formazione per ingegneri-animatori al fine di incrementare l'impiego del pensiero creativo) e al coraggio del sociologo esperto in formazione già citato dott. Giuseppe Martino, che svolse il non facile compito di porsi molto in anticipo rispetto alle reali possibilità di apertura a nuove istanze culturali da parte dei settori preposti alla formazione del Corpo Nazionale VV.F., negli anni '80 furono predisposti pacchetti didattici nuovi, anche con l'ausilio di supporti videoregistrati (novità assoluta per quei tempi), per i corsi di formazione nelle materie di "Prevenzione incendi", "Radiometria e radioattività", "Grandi rischi, Incendi con gas GPL".
Oltre ai pacchetti didattici, comprensivi di manuali tecnici, metodologia impiegata e schede di osservazione, sono stati predisposti anche specifici corsi di formazione per formatori e aiuto formatori VF che, con il supporto del materiale didattico videoregistrato, hanno consentito in seguito di replicare lo svolgimento di tali corsi presso Ispettorati regionali, Comandi Provinciali e Distaccamenti del Corpo Nazionale VV.F. .
Questi pacchetti didattici, grazie all'opera instancabile dello stesso ing. Bruno Greggi, furono successivamente inviati ed utilizzati presso le sedi periferiche del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco per la formazione decentrata direttamente per interessamento della Ripartizione Didattica delle Scuole Centrali Antincendi. Ciò, anche se di fatto questo ruolo di distribuzione sul territorio nazionale competeva all'Ispettorato per la Formazione Professionale VF che aveva sede centrale presso il Viminale.
Un aspetto particolarmente interessante di quel periodo, così pieno di fermenti innovativi, consisteva nello sviluppo iniziale di un percorso formativo di rilevanza motoria (più ampiamente descritto in altra parte di questa trattazione) che successivamente ha avuto notevole importanza all'interno del bagaglio formativo di base dei Vigili del Fuoco: le tecniche di derivazione Speleo Alpino Fluviale (S.A.F.).
Probabilmente, ben poche persone sanno che le principali istanze di recepimento della cultura tecnica di questa importantissima branca, che tuttora riveste un ruolo centrale nell'operatività dei Vigili del Fuoco, presso il Corpo Nazionale ha avuto origine proprio a ridosso della triste esperienza della morte del bambino Alfredino Rampi.
Di fatto, tale famoso triste evento ha avuto tanta importanza ai fini del cambiamento del sistema della formazione nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (e forse, più in generale della Protezione Civile).
Ciò, grazie anche alla collaborazione del gruppo speleologico romano (i cui rapporti con il Corpo Nazionale VV.F. erano stati allora istituzionalizzati), e nella fattispecie grazie a tecnici speleologi quali Tullio Bernabei) allora Vigile Volontario Ausiliario che, come abbiamo detto, ebbe un ruolo importantissimo nel tentativo di salvataggio del piccolo Alfredino Rampi.
Proprio successivamente a tale fatto, per espresso interessamento della Ripartizione Didattica delle Scuole Centrali Antincendi, sono state predisposte le tecniche di impiego di cordami e nodi di derivazione speleologica ad uso dei Vigili del Fuoco. Hanno avuto luogo, altresì, dimostrazioni pubbliche di tecniche di salita e discesa con uso di funi e impiego di pezzi di scala per simulazione di salvataggio di pericolanti, addirittura in occasione dei saggi ginnici-professionali di quegli anni tenuti presso le Scuole Centrali Antincendi.
Tra la documentazione di quei tempi così importanti ai fini del cambiamento di tutto l¿ambito formativo dei VV.F., il sottoscritto conserva ancora la lettera di incarico che ricevette dal Capo della Ripartizione Didattica ing. Bruno Greggi per coordinare l'attività dell'Allievo Vigile Volontario Ausiliario Tullio Bernabei (speleologo), al fine di pervenire alla realizzazione di un documento didattico utile all'impiego di quelle tecniche sopra citate di derivazione speleo alpino fluviale.
Tra la documentazione inclusa nelle fonti di questo lavoro vi è anche l'elaborato didattico in questione, che è stato il "precursore" dei successivi sviluppi tecnici della disciplina S.A.F. .
E' quasi superfluo ricordare che la madre di Alfredino Rampi, la signora Franca Rampi, in seguito al triste quanto importante e famoso episodio di fallimento nel tentativo di salvataggio del suo piccolo, diventò un'organizzatrice di iniziative nel campo della protezione civile (lo scrivente ebbe modo di incontrarla con il dottor Giuseppe Martino presso le Scuole Centrali Antincendi), fondando il Centro di Volontariato di Protezione Civile Alfredino Rampi (di cui è allegata in appendice una ricca documentazione fotografica inerente un campeggio con finalità divulgative organizzato da tale centro in località Roma - Monte Antenne nel settembre del 1982-).
Alle attività di questo centro prese parte, sempre in quegli anni, il dott. Pietro Dell'Agli dell'Ospedale S. Giovanni di Roma, che sin da allora e per tanti anni ha fornito la sua preziosa opera, in qualità di docente collaboratore esterno, alla Ripartizione Didattica delle Scuole Centrali Antincendi e successivamente anche al Servizio Ginnico Sportivo, coordinando fino al 2002 le attività didattiche di primo soccorso di B.L.S. - Basic Life Support o Supporto Vitale di Base nei corsi di formazione di base e di altri settori professionali, tra cui quelli per istruttori di nuoto e salvamento.
Di tali importanti contributi nel settore didattico, il dott. Dell'Agli ha relazionato nel medesimo sopra citato Convegno Internazionale del 2002.
Va evidenziato che, precedentemente a tali iniziative, i Vigili del Fuoco utilizzavano corde spesse di canapa con nodi semplici ed un solo moschettone piuttosto grosso di volume ma di scarsa resistenza al carico.
Quest' attività, in seguito, come viene precisato in altra parte di questa trattazione, è stata poi oggetto di ulteriori studi presso vari Comandi Provinciali VV.F. grazie all'infaticabile opera di vigili del fuoco appassionati alla disciplina.
Infine, dopo tanti contributi, la medesima disciplina professionale è stata sancita da un preciso regolamento tecnico (con documentazione didattica) applicato con Decreto del Ministero dell'Interno n° 5/96 del 16 maggio 1996 che approvava il "Manuale relativo alle tecniche operative di derivazione SPELEO ALPINISTICA e FLUVIALE.
Un'altra attività professionale di particolare rilevanza motoria di centrale importanza nel bagaglio formativo dei Vigili del Fuoco (anche questa descritta opportunamente del medesimo capitolo), è quella del Salvamento Acquatico.
Va precisato che trattasi di disciplina diversa dal semplice salvamento a nuoto, da pochi anni giustamente valutata in tutta la sua importanza e tuttora al centro della pianificazione didattica per tutti i percorsi formativi del personale operativo VF. .
Questo settore della formazione professionale è ritenuto di tale utilità che nel territorio nazionale sono stati individuati e istituzionalizzati i Presidi di Soccorso Acquatico, quali postazioni operative del Corpo Nazionale VV.F. preposte all'organizzazione del soccorso acquatico.
Nel Corpo Nazionale l'attività di formazione nel settore acquatico è attuata con l'obiettivo di mettere in condizione tutto il personale operativo di effettuare soccorso in tale ambiente - spesso insidioso nell'ambito di quella che è stata istituzionalmente definita "Attività di contrasto al rischio acquatico nel territorio nazionale".
Il percorso di studio per il Soccorso in ambiente acquatico ebbe inizio con il Decreto Ministeriale di nomina di un Gruppo di Lavoro Nazionale prot. n° 120/26101 del 27.08.2001, a firma dell'Ispettore Generale Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ing. Alberto D'Errico. Ciò, proprio in concomitanza con la relazione presentata dallo scrivente nel suddetto Convegno Internazionale del 2002, unitamente a tutto lo staff didattico preposto che vi ha collaborato, riferendo dell'esperienza effettuata in questo nuovo settore di formazione.