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  A Roma, l'incendio ed i crolli erano una vera e propria consuetudine.

Piu' che il fuoco sacro custodito nel Tempio di Vesta, in città erano tristemente conosciute le fiamme dei roghi che divoravano le case e la vegetazione.

Non mancavano, infatti, i materiali che innescavano ed alimentavano gli incendi: il legno era ampiamente impiegato nei pavimenti, nei solai e nelle coperture degli edifici, mentre, nelle case, ardevano i camini a legna.

Le fiamme, inoltre, ardevano costantemente nelle cucine e le torce illuminavano le strade.

A tale situazione si aggiungeva, nei luoghi dei sinistri, la costante mancanza di acqua, nonostante la presenza in città di diversi e maestosi acquedotti, che ve ne adducevano grandi quantità.

Non esistevano, infatti, colonne montanti di acqua che la portassero oltre il piano terreno dei grandi fabbricati (insulae), costituiti da tre a quattro o cinque piani e, di conseguenza, quando un incendio scoppiava a quei livelli era molto difficile che pochi orci o catini potessero bastare a domarlo.

Tra questi grandi roghi, che culmineranno nel famoso e catastrofico incendio sviluppatosi nell'anno 64 d.C. sotto l'imperatore Nerone (54-68 d.C.) e nell'altro, non meno distruttivo, avutosi durante il principato di Commodo (182-195 d.C.) la vita a Roma era un fiammeggiare quotidiano di roghi minori; per cui il poeta satirico Giovenale Decimo Giunio (55-130 d.C.) poteva sospirare: "ah, quand'e' che potrò vivere dove non ci siano sempre incendi e dove le notti trascorrano senza allarmi", mentre un insigne studioso di storia dell'Urbe, il Carcopino, ricorderà che sotto Traiano, "pur cosi' attento alla sicurezza dell'Urbe l'incendio era monnaie courante nell'esistenza dei romani".

Fin dai tempi piu' remoti dell'epoca repubblicana, per salvaguardare le città dai pericoli e dalle conseguenze degli incendi erano designati alcuni "triumviri" che, dal fatto di espletare l'incarico anche di notte, vennero chiamati "triumviri notturni".

Per disporre di uomini pronti al soccorso, in caso di incendio, fin da quei tempi si era distribuita, come riferisce il giureconsulto Paolo Diacono, una compagnia di servi pubblici alle porte ed alle mura della città, affinchè all'occorrenza potesse prontamente accorrere sul luogo del sinistro.

A tale compagnia, opportunamente dislocata nel territorio, si aggiungeva poi l'iniziativa privata, che poteva organizzare compagnie di servi.

Avveniva, inoltre, che i cittadini facoltosi, celebrando qualche festa nei loro sontuosi palazzi, non solo avessero cura di tener pronti grandi recipienti pieni d'acqua per qualunque bisogno ma, come racconta Giovenale, disponessero anche di far vegliare l'edificio tutta la notte da parte di comagnie di servi forniti delle attrezzature necessarie per spegnere eventuali incendi.