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Storia

La storia dei Vigili del fuoco ha radici millenarie. La sua nascita si può far risalire all’istituzione della Militia Vigilum dell’Imperatore Augusto. Da allora, attraverso l’evoluzione di nuove professionalità e dalle esperienze spesso nate durante e a seguito di gravi eventi calamitosi, il Corpo Nazionale è diventato, per come lo conosciamo oggi, un vero e proprio unicum nel panorama internazionale dei Vigili del Fuoco.

La storia del Corpo

Per saperne di più...

Motto e numero del Comando

Ad ogni Comando è stato assegnato un numero (di Corpo) ed un motto distintivo.

Al Comando di Macerata è stato assegnato il n. 47, ed il suo motto è "

"Incendii flamma me non invadit" che significa "La fiamma dell'incendio non mi assale" 

Albo d'oro dei Comandanti del Comado di Macerata

I Comandanti che si sono susseguiti al Comando di Macerata

 

LE ORIGINI

Luminarie e fuochi d’artificio avevano salutato l’arrivo del XX secolo e Macerata puntava inevitabilmente i riflettori sul Novecento, che incalzava foriero di incertezze ma anche di tante speranze e di novità: la città aveva infatti ereditato dall’Ottocento la ferrovia, che finalmente la affrancava dall’isolamento geografico, l’acquedotto, ma soprattutto l’energia elettrica, che avrebbe dato grande impulso allo sviluppo industriale del suo territorio.
Tuttavia la cittadinanza era molto provata e avvilita, sia per le gravi e frequenti pestilenze di colera e di tifo, sia per i numerosi scontri politici e sociali. Inoltre, con la sconfitta dell’esercito pontificio a Castelfidardo nel 1860, per volontà popolare il territorio maceratese, fino a quel momento sottomesso al regime pontificio, era entrato a far parte del nuovo Regno d’Italia, perdendo però in competenze e prestigio, e la popolazione, in prevalenza dedita all’agricoltura e in maggioranza analfabeta, si affacciava alle soglie del Novecento in condizioni di assoluta povertà e di estremo bisogno.

Pompieri Volontari di Macerata (1897) - Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti di Macerata
Pompieri Volontari di Macerata (1897) -
Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti di Macerata

Con l’inizio del nuovo secolo, però, la città di Macerata assisteva a un periodo di trasformazione e rinnovamento sociale: cominciarono a proliferare le più svariate iniziative di natura benefica e sorsero numerosi circoli cittadini, banche e associazioni di mutuo soccorso. In particolare, nel 1902, grazie all’opera di giovani volontari nacque la Croce verde per sopperire alle peculiari necessità legate all’assistenza sanitaria, e, sempre nello stesso anno, furono gettate le basi per la creazione del tanto atteso corpo organizzato dei pompieri: i numerosi incendi che ferocemente e frequentemente si sviluppavano nei paesi e nelle campagne circostanti, avevano infatti sconfortato i maceratesi che da tempo chiedevano insistentemente l’istituzione di un presidio antincendi.

Si facevano portavoce di questi malumori le testate giornalistiche dell’epoca, che, infervoravano l’opinione pubblica. Ne costituisce un esempio il celebre <<Vessillo delle Marche>> che, il 27 luglio del 1892, riportava la notizia dell’ennesimo incendio ai danni delle merceria “Calzani” di Via Trivio, sottolineando il fatto che “pare impossibile che in una città come Macerata, non vi debba essere un servizio regolare; sarebbe ora che i padri coscritti ci pensassero una buona volta!”; oppure l’<<Eco delle Marche>> del 2 febbraio del 1896, in cui il ragguaglio sull’incendio del venerdì precedente nella Sala verde del Teatro Comunale metterà in luce come £nell’opera di spegnimento vi fu una confusione tale, dovuta certo alla mancanza della squadra di Pompieri che non si sapeva nemmeno da quale parte incominciare”.

Nel mese di aprile del 1902, però, il <<Risveglio>> dava finalmente la notizia che, con il favore dell’Amministrazione comunale, la Cooperativa dei Muratori aveva deliberato in Assemblea Generale la costituzione di un corpo di pompieri, e che aveva già incominciato a tenere un corso di istruzione e di esercitazioni sotto la direzione del signor Federiconi, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico comunale.

Così, il 10 giugno 1903, la Società Anonima Cooperativa di Produzione e Lavoro tra Operai Muratori e Braccianti era già in grado di approvare il primo Regolamento relativo alla costituzione del Corpo dei Pompieri, il cui principale scopo era di estinguere gli incendi, custodire gli attrezzi destinati a quest’uso, e prestare soccorso in caso di inondazioni, crolli e altre calamità. I pompieri erano inoltre tenuti a prestare il servizio di guardia nei teatri, nelle riunione e in altre occasioni della vita pubblica, nonché a intervenire alle feste e alle dimostrazioni cui prendeva parte il Municipio.

LA CASERMA E LA PRIMA CERIMONIA UFFICIALE

Una volta riorganizzato il Corpo dei Pompieri, si rese indispensabile l’accasermamento degli uomini e del materiale in locali adatti: a ciò fu provveduto trasformando in caserma “l’ex Palazzotto Buonaccorsi” in Via Armaroli.

Con alcuni lavori di ristrutturazione, a fronte di una spesa di 75.856,73 lire, furono infatti predisposte quattro autorimesse e un’officina per automezzi al piano terra, un corpo di guardia, una sala convegni e l’abitazione per il custode al primo piano, e infine una zona di lavaggio per gli automezzi comunali nel cortile interno. Furono poi aggiunti uno spogliatoio al pian terreno e un castello di manovra nel vicino cortile di San Paolo.

La prima cerimonia per la presentazione ufficiale del Corpo alla cittadinanza si svolse il 4 maggio del 1929, quando fu organizzato un imponente saggio ginnico-professionale allo Sferisterio, all’interno del quale venne allestito il castello di manovra.

Luogo simbolo della città di Macerata, lo Sferisterio, progettato dall’architetto Ireneo Alandri, era sorto all’inizio del XIX secolo per il gioco del pallone con il bracciale grazie alla magnanimità di cento consorti maceratesi, ma per la sua struttura semiellittica era ben presto divenuto il teatro ideale per spettacoli di vario genere come corse di cavalli, giostre, piccole corride, cerimonie pubbliche e opere liriche.

La manifestazione dei pompieri vi richiamò un vasto pubblico e riscosse ampi consensi, testimonianti anche dalla stampa dell’epoca.

In particolare, l’articolo apparso su <<L’Azione Fascista>> del 6 maggio 1929, dando ampio risalto all’avvenimento attraverso un resoconto dettagliato, fornisce anche informazioni riguardo le reali condizioni materiali del Corpo: formato dalle Guardie Municipali (che ne costituivano il nucleo centrale, con l’incarico di guidare e far funzionare le macchine, ma anche di operare le manovre per l’estinzione degli incendi) e da venti giovani volontari, era stato istruito per il saggio ginnico da Giuseppe Ribecchi dei pompieri di Milano inviato a Macerata dalla “Fiat”; l’attrezzatura del Corpo era infatti costituita da quattro macchine “Fiat”: un’autopompa da 1000 litri al minuto, un autocarro con attrezzi, un’autoinnaffiatrice e una motopompa.

1949: I VIGILI DEL FUOCDI MACERATA RICEVONO UN NUOVO STENDARDO

La guerra era già lontana quando, in occasione della ricorrenza di Santa Barbara del 1949, il Ministero dell’Interno disponeva la consegna dei nuovi Stendardi a tutti i Corpi d’Italia, offerti dai Comitati d’onore cittadini appositamente costituiti per tale circostanza. Lo stendardo è infatti “il simbolo sacro della Patria della quale riassume le glorie passate e le speranze avvenire. Per il Vigile del Fuoco è inoltre il simbolo dell’onore, dello spirito di coesione e di sacrificio e rievoca i fasti del proprio Corpo. Allo Stendardo, quindi, spettano i maggiori segni di onoranza.

Così, anche il Comando di Macerata ebbe il proprio Stendardo consegnato dall’Amministrazione provinciale con una solenne cerimonia: dopo la deposizione di una corona d’alloro al Monumento dei Caduti da parte di un’unità motorizzata, le altre unità antincendio sfilarono in parata dinnanzi al Prefetto e alle autorità civili e militari all’uopo intertenute, suonando la sirena al momento del transito davanti al Labaro; seguì poi la Santa Messa e la benedizione dello Stendardo nella Chiesa di San Filippo, e infine la resa degli onori allo Stendardo nella Sala della Provincia. Nel frattempo, una rappresentanza dei Vigili del Fuoco si era recata al cimitero di Montelupone per onorare la memoria del  compianto Cipollari perito sotto i bombardamento.

A questa suggestiva cerimonia partecitò commossa l’intera comunità maceratese, che fece così sentire tutta la propria gratitudine e benevolenza a chi tanto si era adoperato per salvaguardarlo.

I festeggiamenti terminarono con una colazione presso la Trattoria “Castellani Amatore” in Piazza Garibaldi.

L’IMMEDIATO DOPOGUERRA

Gli anni Cinquanta costituiscono un periodo di grande fermento per l’attività dei Vigili del Fuoco. Basti pensare che a livello nazionale, già nel 1951, parte il primo corso di formazione per allievi vigili ausiliari di leva presso le Scuole Centrali Antincendi di Roma, e nascono anche le prime associazioni sindacali di categoria, in particolare la CGIL, che raccoglie grandi consensi presso i Vigili del Fuoco grazie al sua carismatico rappresentante Mario Cinque, e poi la CISL e quindi la UIL.

Nel Comando di Macerata, sempre nel 1951, entra in funzione l’Ufficio Prevenzione Incendi, con Mario Spaccesi che viene incaricato della sua organizzazione, compito che egli porterà a termine con grande professionalità prima di essere trasferito a Torino alla fine degli anni Cinquanta, per poi ritornare nelle Marche e assumere il prestigioso incarico di Capo distaccamento dei Vigili del Fuoco di Civitanova Marche.

Il 2 Marzo dello stesso anno, al 47° Corpo dei Vigili del Fuoco (quello di Macerata, appunto) viene dedicato un importante articolo da <<Il Giornale dell’Emilia>>, che ne elogia la professionalità, la prontezza e la frenetica attività che, ieri come oggi, non si palesava soltanto nel momento dell’intervento, ma anche nella continua e incessante attività di addestramento e di manutenzione dei mezzi e delle attrezzature disponibili.

L’articolo, che mette anche in luce la necessità per i Vigili del Fuoco del 47° Corpo di una nuova e più ampia sede –causa che era sostenuta dallo stesso Guglielmo Ortolani, l’allora Comandante- restituisce uno spaccato di vita della caserma dell’epoca, riportando notizia del lavoro di manutenzione delle macchine nell’attrezzatissima officina, del reparto elettrico che provvedeva ai motori e alla rigenerazione degli accumulatori delle auto, del reparto falegnameria che si occupava della cura della caserma, nonché dell’improvvisarsi dei pompieri e muratori per il mantenimento della stessa a colpi di “cucchiara” e “spalvier”.

Mansioni, queste, che non impedivano ai Vigili del Fuoco di “balzare di scatto dai loro posti” al suono del campanello d’allarme e di “armarsi di piccozza e correre presso le macchine che già rombano con i loro possenti motori e… via a tutta velocità verso il pericolo”.

Lo stesso articolista dava conto poi dei numeri del 47° Corpo: ben 147 incendi spenti nell’anno precedente nell’ambito dell’intero territorio provinciale (in particolare i due più grandi rispettivamente di una conceria di Matelica e di una fabbrica di fisarmoniche di Recanati), latri 6 interventi speciali, un crollo, 169 automezzi impiegati e un totale di 2342 ore di lavoro.

Alla fine di quel 1951, però, una grave calamità si abbatté sul Polesine, e precisamente il 14 novembre i Vigili del Fuoco del 47° Corpo furono inviati a prestare soccorso mentre si stava consumando una delle più grandi tragedie italiane. Una violenta alluvione, infatti, aveva colpito gran parte del territorio della provincia di Rovigo e della provincia di Venezia, gli argini del Po avevano ceduto, e l’acqua aveva invaso anche le province di Mantova e Ferrara: in undici giorni, l’allagamento interessò circa 100000 ettari di terreno, causò 84 vittime, 200000 persone in fuga, 700 case distrutte e migliaia di animali annegati, con conseguenze disastrose sul piano sociale ed economico. Dopo il dramma della guerra, tutta l’Italia, dunque, si strinse attorno al Polesine in un’immensa fraternità. In quell’anno, mentre imponenti unità di Vigili del Fuoco provenienti da tutte le parti del Paese si trovavano impegnate nelle operazioni di soccorso, la ricorrenza della Festa di Santa Barbara venne celebrata in tutti i Comandi con un rito semplice e austero, mentre il Ministero dell’Interno, interpretando i sentimenti di solidarietà degli appartenenti al Corpo, decideva di devolvere i fondi stanziati per la manifestazione in opere di assistenza in favore della popolazione colpita dal tragico avvenimento.

“LA NEVICATA DEL SECOLO” A MACERATA

Tra gli interventi che misero a dura prova i nostri Vigili del Fuco nel corso degli anni Cinquanta, va ricordata la famosa nevicata che paralizzò la città di Macerata e il suo territorio nell’inverno del 1956. Quest’eccezionale perturbazione assunse un posto di primaria importanza nella memoria collettiva perché convolse l’intero stivale: nel mese di febbraio di quell’anno, infatti, una straordinaria ondata di freddo aveva investito buona parte dell’Italia, facendo scendere le colonnine di mercurio al di sotto dello zero, con un’intensità tale da essere definita dall’opinione pubblica la “Nevicata del secolo”.

Per quanto riguarda le Marche, bufere e temperature gelide dormivano le regioni adriatiche, e l’entroterra mostrava un panorama che a memoria d’umo non era rammentabile. A Macerata  la neve cadde copiosamente in particolare il 7 febbraio, senza alcuna interruzione per tutto l’arco della giornata.

Malgrado l’aspetto romantico che le città così ammantate di neve, venivano ad assumere lungo tutta la Penisola, numerosi furono i disagi per la popolazione: mentre infatti l’Italia stava ancora rimarginando le ferite lasciate della guerra, essa fu travolta e messa in ginocchio da questa straordinaria perturbazione che, oltre a creare la completa paralisi della circolazione in tutto il centro, aveva bloccato l’approvvigionamento alimentare di città e paese di alta collina e soprattutto di montagna.

In questa situazione, giungevano a migliaia le chiamate ai Vigili del Fuoco, che si vedevano costretti a lavorare ininterrottamente per giorni interi al fine di ripristinare la normalità. Addirittura, l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, a riconoscimento dell’opera di soccorso prestata dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco in questa circostanza, avrebbe conferito la Medaglia d’oro allo Stendardo.

A distanza di quasi sessant’anni, anche il mese di febbraio nel 2’12 verrà certamente ricordato per l’eccezionale ondata di gelo e neve che ha colpito il nostro Paese. A causa del “Burian”, un vento fretto proveniente dalle steppe siberiane, l’Appennino è stato infatti interamente ricoperto di neve: l’Emilia-Romagna, le Marche e l’Abruzzo sono state in assoluto le regioni più colpite.

È stato stimato che si sia trattato di un evento ancor peggiore della nevicata del 1956, ma risulta pressoché impossibile fare un paragone preciso dal momento che i sistemi di rilevazione dell’epoca non erano così sofisticati come quelli odierni.

Certo è che nei primi quindici giorni di febbraio del 2012 oltre un metro di neve è caduta a Macerata e circa due metri e mezzo nell’entroterra e i Vigili del Fuoco del Comando Provinciale hanno portato a termine più di 2000 interventi soprattutto per soccorso a persona, trasporto viveri, crolli, alberi pericolanti, ripristino della viabilità e rimozioni di ghiaccio e neve dai tetti.

IL TERREMOTO UMBRO-MARCHIGIANO

Alle ore 02.33 del 26 settembre1997 una scossa dell’8° grado della Scala Mercalli scuoteva la terra mettendo in ginocchio due intere regioni: l’Umbria e le Marche. Il terremoto, con epicentro tra i Comuni di Colfiorito e Serravalle del Chienti, inizia ad annoverare le sue prime vittime: due anziani coniugi ultraottantenni che furono trovati abbracciati sotto le macerie della loro casa a Collecurti, nel maceratese. Profonde apparivano le spaccature negli edifici, inagibili le abitazioni, le stalle, gli ovili, ma, fortunatamente, nelle zone di montagna molte persone avevano abbandonato le abitazioni più vecchie già dai primi giorni di settembre, dopo le piccole scosse telluriche che avevano interessato la zona dal mese di agosto: si sarebbero rivelate le prime avvisaglie che la terra inviava.

Alle 11.42, a nove ore dal primo terremoto, nello stesso giorno altre due scosse di magnitudo 5.8 (8-9° della Scala Mercalli) ferivano il cuore della Basilica di San Francesco ad Assisi provocandone il crollo delle volte che investiva due frati francescani e due tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali impegnati in un sopralluogo.

Questo fu l’inizio di quello che sarebbe stato un sistema potente, anomalo, con uno sciame sismico, che non sembrava accennare a volersi fermare: un’onda distruttiva, carica di straordinaria energia, colpiva la popolazione del centro-Italia, accanendosi con ferocia nelle aree appenniniche, da Fabriano a Camerino fino a Serravalle del Chienti, dalla Val Nerina alle zone limitrofe dell’Umbria, arrivando ad Assisi e oltre.

Da subito iniziarono ad affluire su tutto il territorio colpito dal terremoto le sezioni operative dei Vigili del Fuoco, dapprima dalle ragioni limitrofe e poi da tutta Italia. Tuttavia, in questi terribili frangenti, il ripetersi di scosse considerevoli metteva a dura prova i soccorritori che dovevano operare in situazioni ambientali pericolose e snervanti: mentre infatti si procedeva nei soccorsi cercando di superare l’emergenza, nuove improvvise e forti scosse riproponevano il dramma dei primi giorni, costringendo i soccorritori e la popolazione a ricominciare da capo. Spesso, però, bastava un piccolo miracolo per riceverne l’energia necessaria a proseguire. Come successe a Elio Flacco, caposquadra della sezione dei Vigili del Fuoco di Chieti, che il 14 ottobre si trovava a operare lo sgombero delle abitazioni lesionate a Rasenna, una frazione terremotata del Comune di Visso in provincia di Macerata.

In questa difficile situazione, è stata proprio la vicinanza e l’umanità dei Vigili del Fuoco a scaldare i cuori della gente con, in tali condizioni disagiate si appresentava ad affrontare i primi rigori invernali: grazie alla loro presenza, la popolazione è riuscita a reagire e a superare i disagi e le difficoltà di quel terribile dramma, progettando con fiducia la ricostruzione. I pompieri, insieme ai Comuni, alla provincia, alla generosità, per respingere la disperazione e la rassegnazione, la paura e l’incertezza dei primi momenti.

La popolazione si à sempre sentita protetta dal personale dei Vigili del Fuoco, accorso numeroso da tutta Italia, che anche in questa occasione ha saputo dimostrare profonde capacità umane oltre che tecniche. Diu questo si può avere conferma anche nella stessa relazione stilata dall’allora Comandante di Macerata, l’ingegnere Maurizio Alivernini: “Ciò è stato reso possibile anche grazie all’aiuto fornito dai Comuni, dal volontariato e soprattutto dalla stessa popolazione colpita dal sisma che da ‘soccorsa’ si è trasformata in ‘soccorritrice’ di se stessa. La molla che ha fatto scattare questo meccanismo, oltre che le tradizioni storico-culturali, è stata l’avere avuto, con i n. 18 campi base, i Vigili del Fuoco molto vicini alla popolazione 24 ore su 24. Tale vicinanza è risultata molto importante, soprattutto se si considera il lungo periodo in cui si è protratto lo sciame sismico che ha caratterizzato questo terremoto”.

Un’altra medaglia d’oro si aggiunse così allo stendardo

6 APRILE 2009: E’ DI NUOVO EMERGENZA

Purtroppo la storia si ripete ed è ancora una volta il terremoto a colpire un altro lembo del Bel Paese, spezzando in 28 lunghissimi secondi tante vite umane e l’essenza dell’antica città medioevale de L’Aquila, ricca di un patrimonio storico, artistico e architettonico di eccezionale valore.

Le immagini, che attraverso la televisione e i giornali si diffondono inesorabilmente nelle case e nelle famiglie, sono di lutto, di dolore, di smarrimento, di lacrime, di gente che ha perso tutto: sono immagini purtroppo conosciute, sempre uguali ogni volta, se non fosse per la peculiarità dei paesaggi, per la qualità delle foto, a colori piuttosto che in bianco e nero, o per la foggia degli abiti e delle strutture in dotazione ai soccorritori, che le collocano in una determinata dimensione temporale e locale. Il terremoto è sinonimo di terrore, distrugge il cuore delle persone sgretolando in pochi attimi tutto ciò che si è costruito in una vita intera.

La scossa distruttiva di magnitudo 6.3 si è verificata il 6 aprile 2009 alle ore 03.32 per 20 devastanti secondi, durante i quali interi quartieri della città sono stati completamente distrutti. L’intervento della macchina dei soccorsi, Vigili del Fuoco ed Esercito in primis, è stato immediato: già all’alba diverse unità avevano raggiunto L’Aquila, ma la tragica conta dei morti di quello che si annunciava come il più devastante terremoto del nuovo millennio era già alta: oltre 100 vittime, centinaia di dispersi, 1.500 feriti e migliaia di sfollati. Nelle 48 ore dopo la scossa principale si sono registrate altre 256 scosse, e in totale ne sono state conteggiate oltre 10.000. Il sisma, inoltre, aveva completamente sventrato la sede della prefettura che avrebbe dovuto essere il centro di coordinamento dei soccorsi, e tra gli altri edifici andarono distrutti anche una parte della Casa dello Studente, il Dipartimento di Storia e il Polo d’Ingegneria dell’Università. A poche ore dal terremoto, nel Comando di Macerata si registra molta frenesia e concitazione: la  città è vicina al luogo del disastro e i nostri Vigili del Fuoco sono tra i primi a raggiungere le zone terremotate. La squadra di soccorso parte immediatamente, alle prime luci dell’alba, appena avuta la notizia. Nel piazzale della sede provinciale i pompieri sono pronti: per alcuni di loro si tratta della prima esperienza, altri sanno già cosa li aspetta e sono determinati, hanno fretta, devono fare presto perché c’è bisogno di loro.

Uno scambio di pacche sulle spalle quale auspicio di buona fortuna e via, si allontanano con la cucina da campo e con i vari automezzi di soccorso, ma soprattutto con una luce particolare negli occhi, una luce di speranza e di vita: quella di riuscire a salvare i propri fratelli in difficoltà.

Facendo tesoro delle precedenti esperienze in materia di calamità e proprio per far fronte alle particolari esigenze di servizio aventi carattere straordinario o di emergenza, il titolo VIII del Contratto collettivo integrativo del 30 luglio 2002 aveva previsto, in relazione all’evento e alle necessità conseguenti, i criteri da applicare al personale operativo inviato in missione, individuando tra l’altro la durata dei periodi di intervento. In particolare, nelle situazioni di cresi contemplate all’articolo 2 della Legge 225/1992, oltre al raddoppio dei turni nei Comandi interessati, erano state previste tre fasi operative con diversa tipologia di orario di servizio: 24 ore su 24 nella prima fase di emergenza con cambio del personale da effettuarsi non oltre i 7 giorni di permanenza; 16 ore ore su 24 nella seconda fare, con una previsione di 10 giorni di permanenza; 12 ore su 24 nella terza fase con permanenza di 14 giorni.

Così’, quella fatidica mattina, è il personale della prima sezione operativa del “turno B” a partire in avanscoperta per le zone terremotate, trovandosi di fronte a uno scenario apocalittico: i nostri Vigili del Fuoco, dopo essere stati indirizzati dapprima nella Piazza del Duomo e poi al Convitto Nazionale, vengono dirottati in Via Don Luigi Sturzo dove erano crollate due palazzine di tre piani ridotte a un cumulo di macerie e cominciano a scavare con le mani, sotto la direzione del funzionario tecnico Carlo Iammarino. Continueranno a lavorare freneticamente a lungo, senza mai fermarsi: le prime ore sono le più importanti in quanto sono maggiori le probabilità di ritrovare qualcuno in vita, e in quelle contingenze i soccorritori non avvertono stanchezza, né fame né sete, l’adrenalina è al massimo. Al termine della fase iniziale dell'’emergenza il bilancio di morti e feriti resta comunque drammatico, soprattutto tra i  ragazzi che si trovavano nella città universitaria per motivi di studio.

I Vigili del Fuoco di tutta Italia si sono alternati nel territorio aquilano per circa due anni, svolgendo dapprima una funzione di soccorso tecnico urgente per il recupero delle persone rimaste sotto le macerie, e successivamente di messa in sicurezza degli edifici civili e pregevoli dal punto di vista storico e artistico, ma senza mai trascurare le attività essenziali di supporto e di assistenza alla popolazione.

Anche questa volta, nell’immane tragedia, i Vigili del Fuoco si sono guadagnati l’appellativo di “angeli”, perché vicini alla gente che soffre, sempre pronti a sacrificare la propria vita, distinguendosi per coraggio, altruismo, professionalità e soprattutto umanità. Di nuovo, loro malgrado, sono stati protagonisti di un altro capitolo della nostra storia.

Il 30 settembre 2009 il presidente della Repubblica, l’onorevole Giorgio Napolitano, conferisce al Corpo tre medaglie d’oro: “quello che avete fatto a L’Aquila ha rappresentato il culmine di una lunga tradizione e di una eccezionale esperienza. Ed ha segnato un culmine, il vostro impegno a L’Aquila, anche perché mai un simile evento è stato tanto partecipato: tanti italiani vi hanno conosciuto come mai erano riusciti a conoscervi da vicino nel passato. Avete messo in sicurezza quello che rimaneva della città e dei suoi monumenti, avete salvato quante più persone è stato possibile. Con professionalità certo, grande professionalità, anche alta specializzazione (se si pensa all’impegno a L’Aquila di cento tecnici ingegneri dei Vigili del Fuoco), efficienza, determinazione. Ma tuto questo non sarebbe bastato se non ci fosse stato un di più di carica umana, un di più di sentimento, di passione, di slancio personale e di senso della comunità: perché se non si ha questo dentro, non ci si lancia tra le macerie della città distrutta per scavare, per cercare di salvare, anche dopo quaranta ore e più, una ragazza che è rimasta sepolta, o per portare alla luce, e restituire alla pietà della famiglie, corpi ormai senza vita. Se non ci fosse stato tutto questo, non ci sareste riusciti. Se non aveste avuto questo di più dentro di voi non si potrebbe spiegare come sia accorso a L’Aquila Marco Cavagna di Bergamo, anche sacrificando la sua vita come tanti di voi hanno rischiato di sacrificarla. Voglio ricordare l’esempio di Marco Cavagna perché è una prova luminosa di solidarietà, della fraternità che unisce gli italiani di tutte le parti del Paese. […]
Comunque Grazie, perché quello che avete fatto a L’Aquila è stato esempio di ciò che è l’Italia migliore: e voi stessi e il vostro Corpo rappresentante un esempio di quel che sono gli italiani migliori. Dovremmo sempre ricordarcene quando parliamo dell’Italia e degli italiani e quando guardiamo alle sfide che ci attendono.

Leggi la testimonianza di Carlo Iammarino

20 MAGGIO 2012: LA TERRA TREMA ANCORA

Il 20 maggio 2012, alle 4.04 del mattino, la terra torna ancora a tremare. Questa volta una forte scossa di magnitudo 5.9 della scala Richter colpisce l’Emilia-Romagna e viene avvertita in tutto il Nord Italia. L’epicentro, localizzato a 36 chilometri a nord di Bologna, si colloca nei pressi di Finale Emilia, tra le province di Modena e Ferrara.

Una seconda scossa di magnitudo 5.1 si verifica nel primo pomeriggio con epicentro nel paese di San Prospero in provincia di Modena, cui fa seguito uno sciame sismico nella notte e nei giorni successivi con scosse di intensità diverse, alcune anche superiori alla magnitudo 5.

Dapprima sembrava trattarsi di un evento confinato in una piccola zona, tantoché vengono chiamati a intervenire soltanto i soccorsi locali. Tuttavia, con il trascorrere delle ore, la situazione si aggrava sempre di più e aumenta drasticamente il bilancio delle vittime e dei feriti nonché dei danni subiti dagli edifici, dal patrimonio artistico e dalle attività produttive che costituiscono la vera e propria forza economica e sociale della regione.

Devastante è soprattutto la nuova violentissima scossa delle ore 09.00 del 29 maggio: con una magnitudo di 5.8 e l’epicentro compreso tra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, viene avvertita in tutto il Nord Italia, creando panico e disagi anche in città come Milano, Parma, Verona, Padova e Venezia. È in seguito a tale evento che è stato ritenuto necessario anche il coinvolgimento dei Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Macerata.

Il primo a intervenire è stato il Vice Comandante, l’ingegnere Mirko Mattiacci, che ha vissuto in prima persona la violenza della scossa del 29 maggio, trovandosi in Emilia-Romagna dal 27 maggio per eseguire opere provvisionali e di realizzazione di messa in sicurezza degli edifici colpiti, nello specifico della Chiesa di San Domenico in località Stellata del Comune di Bondeno, e della Chiesa della Madonna delle Sante Grazie di Bondeno.

Fino a oggi, il Comando di Macerata ha partecipato alle operazioni con 35 vigili, inviati in gruppi di 9 nelle cosiddette “sezioni operative”, alcuni specialisti S.A.F., li Comandante Dino Poggiali e altro personale, per un totale di 42 unità operative, che hanno espletato compiti di puntellamento e demolizione, ma soprattutto di assistenza alle popolazioni colpite dal sisma, nonché di recupero dei beni all’interno delle case danneggiate. I nostri pompieri confermano ancora una volta il loro ruolo di “angeli” nei confronti del prossimo in difficoltà, contribuendo non solo alla salvaguardia fisica della persona, ma anche alla tutela della sua umanità e dignità: l’impegno nel recupero, che va dai beni personali fino alle opere pubbliche e di carattere storico-artistico, fa dei Vigili del Fuoco i moderni tutori della nostra identità culturale e spirituale, di quanto, dai secoli passati, è giunto al nostro presente a ricordarci chi siamo e da dove, da cosa, veniamo.

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