Il terremoto del Friuli del maggio 1976

Sono le 21 del 6 maggio 1976 quando un terremoto di magnitudo 6.5 colpisce duramente il Friuli e in particolare la media valle del Fiume Tagliamento, con epicentro localizzato a qualche chilometro ad est di Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Il sisma, soprannominato “Orcolat” dai locali, cioè l’orco del folklore che si ritiene essere responsabile dei terremoti, fu avvertito in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale e nella vicina Slovenia e fece registrare un valore compreso tra il nono e il decimo grado della scala Mercalli, classificandosi come il quinto terremoto più distruttivo tra quelli registrati nel nostro Paese.
La scossa interessò oltre 100 comuni delle province di Udine e di Pordenone, per una popolazione complessiva di circa 500.000 persone. Gli effetti più distruttivi si ebbero nella zona a nord di Udine lungo la media valle del Tagliamento, dove interi paesi e cittadine subirono estese distruzioni: fra questi Gemona del Friuli, Forgaria nel Friuli, Osoppo, Venzone, Trasaghis, Artegna, Buia, Magnano in Riviera, Majano, Moggio Udinese, solo per citarne alcuni.
L’impatto sull’economia fu enorme, circa 15mila lavoratori perdono il posto di lavoro per la distruzione o il danneggiamento delle fabbriche. I danni al patrimonio edilizio furono rilevanti e amplificati dalle particolari condizioni del suolo, dalla posizione dei paesi colpiti, quasi tutti i posti in cima ad alture, e dall'età avanzata delle costruzioni.
La scossa provocò solo in Italia, 990 morti e oltre 45.000 senza tetto.
Il governo, ai sensi della L.996/1970, nominò Giuseppe Zamberletti Commissario straordinario per coordinare la macchina dei soccorsi e gestire l’emergenza. L’opera di Zamberletti durante l’emergenza in Friuli fu fondamentale per la nascita della protezione civile italiana. In Friuli fin da subito il governo regionale e i comuni danneggiati dal terremoto lavorarono a stretto contatto con il Commissario Zamberletti. Per la prima volta si istituirono i Centri Operativi nelle diverse zone colpite sotto la presidenza del sindaco con il potere di decidere sulle operazioni di soccorso, conoscendo le caratteristiche e le risorse del territorio. Ancora oggi, il cosiddetto “Modello Friuli” è indicato come un alto esempio di efficienza e serietà nel modo di gestire la situazione post-terremoto.
L’impegno di tutti fu encomiabile, la mobilitazione della macchina dei soccorsi fu imponente e coinvolse le forze armate, le forse dell’ordine, la Croce Rossa e, naturalmente, i Vigili del fuoco: si scavò ovunque con le ruspe, e spesso anche con le nude mani tra le macerie delle case sinistrate, nella speranza di strappare alla morte chi invocava aiuto tra i calcinacci e il cemento.
Quasi 1.000 vigili del fuoco si alternarono sul territorio, con al loro fianco anche migliaia di giovani volontari. Un impegno particolare venne profuso dagli ufficiali del Corpo nazionale impegnati nelle verifiche e nella messa in sicurezza delle strutture rimaste danneggiate dalle scosse.
Durante tutta la fase di emergenza, furono complessivamente impiegati dai vigili del fuoco i seguenti mezzi: 53 autocarri attrezzati, 141 campagnole, 39 mezzi speciali (trattori caricatori, apripista e ribaltabili), 21 autoscale, 3 autogrù, 27 camionette fotoelettriche, 23 ABP (autobotte pompa) e APS (Auto Pompa serbatoio), 14 autolettighe, 72 autovetture, 163 autofurgoni, 2 elicotteri, per un totale di 558 mezzi.
Il ruolo dei vigili del fuoco non fu solo di soccorso ma anche di assistenza alle popolazioni, con allestimento di campi di accoglienza per coloro che avevano perduto tutto. Lo spirito che li animò si riassume nelle parole che apparvero su un muro a Gemona del Friuli: “I vigili del fuoco hanno visto, hanno pianto, uno per tutti".
Non è mancato, purtroppo, il tributo di dolore pagato direttamente dal Corpo nazionale. Nel corso delle operazioni di soccorso, uno degli elicotteri si schiantò ai margini del lago Redona. Il bilancio della tragedia fu pesante: cinque morti ed altrettanti feriti. Le vittime, a parte il civile friulano Pio Francesco Perin, tecnico di una ditta costruttrice di prefabbricati, sono stati tutti Vigili del Fuoco: il secondo pilota Antonio Alfano, 37 anni, il motorista Sabatino Bocchetto, 32 anni, l'altro motorista Amato Celli, 38 anni, tutti del Comando di Roma e il Vigile Antonio Pedone, 33 anni, in forza al Comando di Modena. Tutti appartenenti al Corpo anche i cinque feriti: Cosimo Balestra e Marco Donega, di 24 anni, il primo pilota Gino Bellanti, modenese di 36 anni, Antonio Silcolle, 24 anni e Italo Bomero, 27 anni.
Testimone della tragedia
La testimonianza di Dino Forasacco, allora vigile del fuoco in servizio al comando provinciale di Udine, che per primo intervenne nel comune di Osoppo (2.467 abitanti, 119 vittime): “Mi colpirono subito tre cose: il silenzio surreale, il buio pesto e l’odore dei calcinacci. Dove sono le case? Ci chiedemmo. Scesi dal mezzo, ci colse un grandissimo senso di disagio e di impotenza. Dopo i primi momenti di angoscia, scattò la molla della reazione. Man mano che arrivavano le squadre, cercammo di suddividere gli uomini per rendere più efficaci i soccorsi. Si lavorava in mezzo alle scosse e a strutture pericolanti. I tanti lamenti e le richieste di aiuto, che si sentivano in quel grande silenzio, pian piano si spensero."